Un’ultima cosa

A tutti (o quasi) è capitato di sognare il proprio funerale: come se ci si trovasse lì, a partecipare essendo vivi e morti al contempo. Immaginate di poter essere voi a dare l’ultimo saluto, voi a scegliere quali ultime parole usare per consegnare al mondo il ricordo di voi stessi. È quello che ha fatto Concita De Gregorio, autrice e giornalista dalla penna arguta e sensibile.

Con il suo Un’ultima cosa, nato come ricerca appassionata, intima, e divenuto solo a posteriori un progetto di messinscena, ha immaginato che cinque donne potessero presenziare al proprio funerale, cinque donne che hanno nutrito l’immaginario della scrittrice nelle fasi della sua vita: Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Maria Lai e Lisetta Carmi (scomparsa recentemente). E l’autrice si è presa la libertà e l’onore di scrivere il loro discorso di congedo. Ma solo «dopo averle frequentate a lungo, dopo aver studiato il loro lessico fino a “sentire” la loro voce», dice De Gregorio.

Mettendo insieme le suggestioni e le parole raccolte direttamente o dai racconti di persone vicine, De Gregorio ha reso queste donne vive all’immaginario funerale, padrone di scegliere il tono e il modo con cui salutare e uscire di scena. Su un palcoscenico sgombro ma luminoso (le luci sono di Vincent Longuemare) ecco allora le cinque, le donne evocate e le due che raccontano – tre se aggiungiamo la regista Teresa Ludovico: la stessa De Gregorio ed Erica Mou, giovane cantautrice dalla voce cristallina, che a cappella traduce in canto le orazioni o, come recita il sottotitolo, queste invettive, che pur se funebri, celebrano il passaggio, il ciclico scorrere tra la morte e la nascita. L’ultima cosa da dire a se stessi, al pubblico, al mondo: e poi forse arriva la fine, o l’inizio.

Durata dello spettacolo: 1 ora e 10 minuti.