Biografie di Andrea Porcheddu
Riminese, classe 1920, 4 premi Oscar e infiniti altri riconoscimenti, Fellini è giornalista, vignettista, autore radiofonico e drammaturgo, particolarmente attratto dall’avanspettacolo, dalla rivista, dal circo e dal teatro comico popolare (e anche dal cinema). Per lui si inventa il termine “felliniano”, che ben racchiude la fantastica fusione di sogno e realtà, allegria e dolore, nostalgia e amarezza che connotano i suoi lavori. Con Amleto debutta nella regia teatrale.
Ebreo russo naturalizzato francese, classe 1887, Chagall è pittore, illustratore, scultore, scenografo, costumista per opera e prosa. Ama la musica Klezmer, in particolare il violino. Si avvicina al teatro già nel 1920, realizzando sette teleri per il Teatro Ebraico di Mosca. Debutta nel 1942 come scenografo per il Ballet Theatre di New York, nella produzione di Aleko (coreografie di Leonide Massine) ed è impegnato al MET per L’uccello di fuoco di Stravinskij. Il suo è un teatro dei sogni: ama far volare i suoi personaggi.
Romana, classe 1890, fondatrice nel 1927 della celebre maison che porta il suo nome, Schiaparelli è stilista, disegnatrice, imprenditrice, scenografa, costumista per cinema, teatro, danza. Molto più brava di Coco Chanel, è sicuramente la più grande creatrice di moda del Novecento. Amica e collaboratrice di artisti come Picabia, Dalì, Cocteau, Aragon, Ray, Clair, Duchamps, ha vestito Katharine Hepburn, Lauren Bacall, Greta Garbo, Marlene Dietrich. Ha firmato, tra l’altro, i costumi del film Moulin Rouge, diretto da John Huston e dello spettacolo Le diable et le bon dieu di Jean-Paul Sartre e Louis Jouvet, con Maria Casares. Tra i tanti frutti della sua fantasia: la re-invenzione del maglione e il rosa shocking.
Classe 1920, il boemo Svoboda è scenografo e regista, ma soprattutto inventore della luce in teatro. Creatore della “Laterna magika” e del “Polyécran”, ha ideato e sviluppato la tecnica del controluce e si è dedicato all’uso delle scenografie multimediali. Ha lavorato con tutti i più grandi registi europei del Novecento. Uno dei proiettori più usati al mondo porta ancora il suo nome.
Nato a Pescara nel 1910, si immerge presto nel clima di Roma, città che, forse più di ogni altro, ha saputo osservare e raccontare senza risparmiare nulla ai suoi abitanti. Scrittore, giornalista, critico teatrale e cinematografico, drammaturgo, vanta una discreta attività di sceneggiatore affiancando i maggiori registi italiani. Debutta a teatro come autore nel 1946 con La guerra spiegata ai poveri. Nel 1960, con la commedia Un marziano a Roma, per la regia e interpretazione di Vittorio Gassman, ottiene il suo maggior insuccesso.
Milanese, nato nel 1911, diplomato compositore al conservatorio di Milano, poi allievo di Alfredo Casella a Santa Cecilia, Nino Rota si dedica all’Opera (si ricordano Il cappello di paglia di Firenze e La notte di un nevrastenico), alla musica da camera e per orchestra, al teatro e al balletto, ma abbraccia presto il cinema scrivendo la colonna sonora di un film di Raffaello Matarazzo. Compone musiche per i film di Fellini, Visconti, Zeffirelli, Coppola (con cui vince l’Oscar), Soldati, Zampa, Lattuada, Monicelli, De Filippo e altri. È sua la musica di Viva la pappa col pomodoro, cantata da Rita Pavone.
Ciociaro, nato nel 1924, è eclettico attore di cinema e teatro. Dopo aver preso parte come comparsa in alcune pellicole girate a Cinecittà, Mastroianni debutta in un remake de I miserabili, ma si fa notare nel film Domenica d’agosto (doppiato però da Alberto Sordi) ed è scelto da Luchino Visconti per alcuni spettacoli allestiti all’Eliseo di Roma, tra cui si ricordano almeno As You Like It di Shakespeare, Un tram che si chiama desiderio (accanto a Vittorio Gassman) e La locandiera di Goldoni assieme a Rina Morelli, Paolo Stoppa, Gianrico Tedeschi, Giorgio De Lullo, Rossella Falk. Tenta la strada della commedia musicale con Ciao Rudy di Garinei e Giovannini, ma è il cinema a dargli decisamente maggiori soddisfazioni. Torna al teatro con Le ultime lune, di Furio Bordon. Per la prima volta affronta Amleto che, dice l’attore, sarà «più pigro che indeciso».
Americano, classe 1915. Pare che abbia iniziato a giocare al teatro da bambino con una “lanterna magica”, dei colori e un teatrino delle marionette. Recita a scuola, studia da mago, e finalmente debutta a Broadway come Tibaldo nel Romeo e Giulietta. Si fa notare con la regia di un Voodoo Macbeth ambientato a Haiti e, a 23 anni, diventa un caso con una trasmissione radiofonica di fantascienza, La guerra dei mondi. Debutta a Hollywood con Quarto potere e in seguito si divide tra teatro e cinema, con risultati spesso eccellenti, firmando numerosi allestimenti e lungometraggi, lavorando spesso in Italia. In gioventù, Welles ha adattato Amleto per la radio, ma questa è la prima volta che si cimenta direttamente con la tragedia. Troppo in carne per esserne il protagonista, sarà lo zio, l’infernale usurpatore: «In fondo – dice l’attore – Claudio è il Terzo Uomo».
Genovese, nato nel 1922, attore, regista, autore, poeta, drammaturgo, pedagogo. Per lui si usa il termine “Mattatore”. Si diploma all’Accademia “Silvio d’Amico” di Roma, e da allora non si è mai fermato. Alto, bello, bravissimo, straordinariamente attivo tra cinema e teatro, sa attraversare agilmente il comico, il tragico e il drammatico. Gassman debutta ne La nemica di Niccodemi con Alda Borelli, e in seguito ha interpretato magistralmente Amleto e una infinità di ruoli diversi. Ha inseguito i propri spettri sino alla fine, come Achab ha fatto con “Moby Dick”: e ha voluto raccontarlo nel celebre allestimento del romanzo di Melville fatto nel Porto Antico di Genova del 1992. Patriarca del teatro italiano e di una famiglia di uomini e donne di teatro, Gassman incarna per la prima volta, ufficialmente, il fantasma del Padre.
Svedese, nata nel 1915, ha vinto 3 premi Oscar e numerosi altri riconoscimenti. Sembra che abbia deciso di dedicarsi al teatro da bambina dopo aver visto uno spettacolo. Si è formata al Dramaten di Stoccolma come attrice di prosa salvo poi alternare nella sua carriera cinema e teatro. Debutta a Broadway a 25 anni e veste reiteratamente i panni di Giovanna d’Arco: eppure molti la ricorderanno al Rick’s American Bar di Casablanca, mentre Sam suona As time goes by. Interprete straordinaria per Hitchcock e Ingmar Bergman (come per Sinfonia d’autunno, suo ultimo film). Scrisse di sé al regista Roberto Rossellini: «Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo “ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei». Da quel momento ha viaggiato molto in Italia, spesso a Stromboli.
Figlio d’arte, padre d’arte, fratello d’arte, De Filippo, meglio noto semplicemente come “Eduardo”, è prolifico autore, straordinario attore, intenso regista anche in opera, lirico scrittore, ostico pedagogo e arcigno capocomico. Nato nel 1900 a Napoli, debutta a quattro anni nella compagnia di famiglia. Pulcinella arguto e dolente, De Filippo sa attraversare i generi comico e drammatico, scrivendo testi, a giorni alterni, spesso in dialetto. Lavora per il cinema e la televisione con un certo successo: intere generazioni di italiani sono cresciute guardando Natale in casa Cupiello durante le vacanze. Ha frequentato Shakespeare senza mai affrontarlo direttamente: grazie a lui Prospero ha parlato napoletano in una Tempesta reinventata nel Golfo. E ancora grazie a lui, molti hanno imparato a fare il caffè.
Classe 1946, Reggiani è stato la memorabile Freccia nera dello sceneggiato televisivo di Anton Giulio Majano, al fianco di Loretta Goggi. E con il ruolo del coraggioso Dick Shelton ha influenzato molti giovani arcieri. Chiamato al cinema da registi come Dario Argento, Giuliano Montaldo, Luigi Comencini, Pasquale Festa Campanile, Reggiani non ha mai abbandonato il teatro, confrontandosi con testi classici e contemporanei. Tra gli altri lavora con Gianfranco Cobelli e con Aldo Trionfo in un apprezzato Caligola. Reggiani si è già cimentato con Shakespeare, protagonista in un’intensa e cupa versione di Macbeth con la regia di Sandro Sequi (con cui collabora spesso). Regista per alcuni allestimenti in Opera, promette che il suo Laerte, andando a Parigi, non canterà mai “La freccia nera fischiando si scaglia/ e la sporca canaglia il saluto ti da”.
Nata in Germania nel 1926, figlia di un rabbino e di una attrice di grande talento, Malina ha dedicato la vita al teatro. Dopo aver studiato con Erwin Piscator a New York, incontra il giovane pittore Julian Beck. Malina e Beck sono stati insieme 43 anni e hanno cambiato il mondo. La loro è l’utopia di un teatro vivente, il Living Theatre, anarchico, pacifista, internazionale, libero. Il teatro che, forse più di ogni altro gruppo della storia occidentale, ha incarnato l’utopia rivoluzionaria del ‘68, che si concretizza nello spettacolo Paradise Now. Dal 1951, quando aprirono il loro “Theatre in the Room”, inventando di fatto il cosiddetto Off Broadway, Beck e Malina hanno portato i loro spettacoli nelle strade, nelle piazze, nelle fabbriche, protestando pacificamente e per questo finendo spesso in galera. «La mia Ofelia – ha dichiarato l’attrice – è una rivoluzionaria, una vera Antigone».
Comunista, nato a Milano ma cresciuto teatralmente a Torino, nella scuola di Edoardo Maltese, Volonté è poi allievo di Orazio Costa all’Accademia “Silvio d’Amico” di Roma. Inizia a lavorare ancora studente, passa per la compagnia D’Origlia-Palmi, per il teatro Sant’Erasmo di Milano e per lo Stabile di Trieste (dove dirige anche L’ultimo nastro di Krapp). Chiamato da Franco Enriquez, Sandro Sequi, Giancarlo Sbragia, Luca Ronconi (per La buona moglie di Goldoni, con Carla Gravina), nel ‘64 da vita ad una sua compagnia. Mette in scena Il vicario di Hochhuth, ma viene sostanzialmente censurato. Ancora in teatro affronta Romeo e Giulietta e Sacco e Vanzetti e molto altro; fa tanta televisione, ma è il cinema a portarlo al successo. Da Per un pugno di dollari a Cristo si è fermato a Eboli, da La classe operaia va in paradiso a Giordano Bruno, da L’armata Brancaleone a Indagini su un cittadino…, Volonté diventa, per sempre, Volonté. Filosofo e politico impegnato. Proprio come Orazio.
Salentino, apparso più volte alla Madonna, classe 1937, “allievo di se stesso”, è attore, regista, drammaturgo, poeta, autore, filosofo decostruzionista e antiesistenzialista, “demolitore” cinematografico e nemico della critica. Sin dal debutto nel 1959 con Caligola, riesce in breve tempo a modificare l’assetto del teatro italiano e internazionale, smontando, rimontando, spostando, spezzando, urlando, amplificando, ironizzando, baroccheggiando. Con ferocia affronta Shakespeare, e in particolare Amleto, volta più volta meno, ne fa un “essere e non-essere”, sfrontata frittata al sapor di Laforgue, in una sottrazione di sé fino alla sparizione dell’(io) che “non dice, ma viene detto”. Assurto all’empireo dell’assoluto teatrale, Bene come Maria Callas è, per sua stessa definizione, incarnazione divina del puro genio archetipico. Nonostante gli storici contrasti con alcuni componenti della compagnia, partecipa generosamente a questo Amleto, nel ruolo di Rosencrantz, dichiarando che «tanto (io) non ci sono se non nel mio non-esserci, che pure è più presente-assente di tante presenze».
Genovese, nato nel 1885, debutta in una compagnia locale a 12 anni. Sostanzialmente autodidatta, è capocomico, autore, amministratore (oculato assai) e naturalmente attore caratterista. Debutta nel vaudeville Santarellina, ma si fa notare a Milano, al Teatro dei Filodrammatici, in una brillante commedia di Bacigalupo, I manezzi pe majâ na figgia, ancora oggi di successo. Si impone al cinema e al grande pubblico della televisione degli anni Cinquanta e Sessanta, tanto che, per lo più, lo si pensa in bianco e nero. Eppure il suo è un teatro con i colori forti della vita vera, della poesia quotidiana, dell’ironia aguzza di Genova e dei genovesi, ma i suoi mugugni e i suoi sguardi sono stati applauditi in tutto il Mondo (per ben tre mesi a Buenos Aires). Ha fatto del teatro vernacolare un teatro nazionale, portando l’arte attorale dell’Ottocento nelle asprezze del Novecento. «Questo Guildenstern – ha detto – potrebbe essere una pignasecca. Vorrei farne almeno una pignaverde».
Bello, è bello. C’è voluto del tempo, ma poi è diventato anche bravo. Un attore notevole. Un essere umano notevole: coraggioso, sospeso sempre tra essere e dover essere. Almeno fino alla fine. Hudson, classe 1925, romantico e affascinante, ex camionista, quasi due metri di fisico perfetto, il gigante gentile, il cowboy e l’atleta, è uno dei pilastri dell’epoca d’oro di Hollywood: protagonista di successo in film drammatici e comici, a fianco di Doris Day, Liz Taylor, Jane Wyman, Gina Lollobrigida. Alcuni lo hanno amato anche per la serie Tv Dynasty. A Broadway, in un musical, è stato anche Re Artù.
Nato a Napoli nel 1898, riconosciuto nobile, è autore comico a vocazione tragica o tragico a vocazione comica. Lavora sapientemente nella farsa e nel dramma, passando nell’arco di una vita da Scarpetta a Pasolini. Drammaturgo, poeta, cantautore, forza comica originalissima, è infaticabile in cinema e in teatro. Dal 1928, con la compagnia della soubrette Isa Bluette e poi di Achille Maresca, quindi dal ‘32 con la sua “Compagnia di Riviste e Fantasie Comiche Totò”, infine con Michele Galdieri e Remigio Paone, affiancato spesso da Anna Magnani, il Principe ha saputo vestire la maschera di Pulcinella e il ruolo di capocomico e impresario. Ha calcato le scene dell’avanspettacolo e del Varietà, in oltre 40 spettacoli. Totò ha inventato una sua indimenticabile maschera d’attore, dal corpo smontabile e biomeccanico e dall’aspetto immediatamente riconoscibile, con la classica bombetta e i pantaloni troppo larghi. Proprio come sarà vestito il suo Becchino shakespeariano.
Figlio d’arte, padre d’arte, fratello d’arte. De Filippo, meglio noto semplicemente come “Peppino”, nasce nel 1903 e debutta nel 1927. È attore, autore, regista. Interprete raffinato, debutta e fonda con i fratelli la “Compagnia del Teatro Umoristico” salvo poi proseguire la propria carriera da solista sia in cinema (una serie sterminata di film) che in teatro, affrontando anche testi classici e contemporanei. Assieme a Totò dà vita alla più grande coppia comica mai esistita, alchimia perfetta di sapienza artigianale e improvvisazione, di tempismo e micidiale arguzia, che coniuga al meglio la Commedia dell’Arte e l’Avanspettacolo. Da tempo accarezzava il progetto di realizzare un Totò, Peppino e Amleto, in cui scrivere temibili lettere a Ofelia.
Ermete Zacconi (Montecchio Emilia, 1857), Ruggero Ruggeri (Fano, 1871), Tino Buazzelli (Frascati, 1922). Giovani promettenti attori, selezionati nella storia del teatro italiano.
Del commendatore Ermete Zacconi, si ricorda una naturalistica ma vibrante interpretazione di Amleto. Lo spettacolo ha debuttato nel 1887 ed è entrato in repertorio, con una lettura particolare del personaggio shakespeariano: «Un omaccione muscoloso, dall’apparente età di anni cinquanta» (così per Silvio d’Amico nel 1916).
Di Ruggero Ruggeri, invece, si fa memoria di un moderno e progressivo allestimento, tagliato e modificato, nel 1918, e di grande successo. Spettacolo «di un gusto tra barbarico e decadente», con un Amleto che si agita, corre, muove le braccia, si dimena (così per Silvio d’Amico nel 1918).
Tino Buazzelli, «massiccio insieme e asciutto» (Roberto De Monticelli nel 1955) è attore più attento al repertorio cechoviano e brechtiano, attivo soprattutto nel teatro milanese, ma non digiuno di Shakespeare. Questo per lui è il primo Amleto.
Nato a Strasburgo nel 1923 nella famiglia ebrea Mangel, Marcel è un uomo apparentemente schivo e molto silenzioso. Con il nome d’arte e di partigiano Marceau, impara l’arte della pantomima e dell’autocontrollo per sopravvivere nella resistenza antinazista. È allievo di Charles Dullin e di Etienne Decroux, lavora a lungo con la celebre compagnia Renaud-Barrault e poi con propri ensemble. È particolarmente ossessionato da Charlie Chaplin e Buster Keaton. Si trucca la faccia di biacca e spesso si fa chiamare Bip. Cammina volentieri controvento. Lavora molto al cinema: si ricorda la sua interpretazione in Ultima follia di Mel Brooks, in cui pronuncia l’unica parola del film: «No».
Di Dario Fo, classe 1926, si dice che abbia inventato il Medioevo. Giullare, fantasista, cantante, regista, drammaturgo, attore, ha al suo attivo alcuni riconoscimenti, tra cui un non-trascurabile Premio Nobel nel 1997.
Di Franca Rame, classe 1929, giullare, fantasista, regista, drammaturga, attrice, si dice che abbia inventato Dario Fo. Assieme non hanno mai smesso di fare politica. E teatro. O viceversa.
Sede legale
piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova
010 53421
teatro@teatronazionalegenova.it
©2024 Teatro Nazionale di Genova |
P.IVA / Codice fiscale 00278900105
Iscriviti alla nostra newsletter!
Vuoi essere informato su quello che accade al Teatro Nazionale di Genova? Iscriviti alla nostra newsletter!
IscrivitiQuesto sito fa uso di cookie per migliorare la vostra esperienza di navigazione. La prosecuzione della navigazione comporta la prestazione del consenso all'uso dei cookie. E’ possibile impedire il rilascio dei cookie rilasciati da ADFORM cliccando su Opt-Out al seguente link: site.adform.com/privacy-policy. È eventualmente possibile negare il consenso all'installazione di qualunque cookie.