In un pomeriggio, al calare del sole, tre donne si ritrovano nel controviale di un enorme parco cittadino: sono sedute su tre panchine, una di loro ha a fianco una carrozzina. Sembra una scena di vita quotidiana, ma Christine si è assopita per pochi secondi, forse qualche minuto, e al suo risveglio sua figlia è scomparsa. Ci ritroviamo così in un incubo, tra sogno e realtà, dove attraverso le figure di queste tre donne, viaggiamo alla scoperta di un’altra maternità.
José Pliya, autore originario del Benin, ci fa toccare le corde più oscure, i tabù, che si nascondono dietro e intorno l’evento della nascita di un figlio, e parla anche a tutte quelle donne che non vogliono o che non possono avere figli. I “cannibali” sono coloro il cui desiderio è così forte da voler incorporare, mangiandolo, il loro stesso oggetto del desiderio. Ma cosa c’è al di là di questo desiderio? Sappiamo riconoscere quando il desiderio di maternità è istintivo, e quando imposto dalla società? Può una donna liberarsi dal desiderio di diventare madre?
Nella storia dei miti e delle religioni, l’archetipo della donna indipendente, emancipata dall’uomo, ha sempre un lato inquietante: è vista come una vampira, una strega, una mangiatrice di bambini, come se ci debba essere per forza un che di demoniaco nelle donne che non accettano le regole sociali. In questa storia, in cui gli uomini sono completamente assenti, Christine, Martine e Nicole impareranno a parlarsi, a svelare i loro segreti, e soprattutto a sentire il dolore l’una delle altre, fino a diventare una cosa sola, condividendo l’assenza che si portano dentro e, insieme, a liberarsene.
traduzione Monica Capuani
regia Barbara Alesse
con Eva Cambiale, Lisa Galantini, Deniz Ӧzdoǧan
progetto suono Andrea Nicolini
fonico Lorenzo Sale